Mio Nonno

Una persona che non dimenticherò mai







Fra gli scrittori pratesi minori che operarono dalla fine dell'Ottocento, Moisè Cecconi tiene un posto a sè per alcuni caratteri di vita e per il complesso della sua opera, varia anche se non abbondante, dalla novellistica al romanzo, dall’aforisma al teatro. Nato a Jolo di Prato il 19 febbraio 1870, ebbe vita lunghissima: morì infatti il 25 settembre 1963, purtroppo quasi del tutto dimenticato, fuori ma anche nella nostra città, dove vivente non gli era stata prestata che scarsa attenzione, sebbene avesse partecipato ai più importanti movimenti letterari dei primi anni del secolo. Era stato, se pure saltuariamente, collaboratore del "Il Marzocco" il settimanale diretto dagli Orvieto, una pubblicazione di grande rilievo almeno fino alla prima guerra mondiale. Indubbiamente per favorire il Soffici che gli era parente, aveva anticipato qualche somma per fondare "La Voce"; denari, aveva assicurato poi Prezzolini, che gli erano stati tutti restituiti. Perduta la prima moglie, si era risposato con una canadese, che almeno a giudicare dal nome (una Le Liévre de St. Remy) doveva essere di origine nobile. Qualcosa del "gentilhomme campagnard" era infatti nel Cecconi, che quando non viveva nella sua proprietà terriera di Jolo frequentava gli ambienti letterari sia di Firenze, dove aveva fatto amicizia col D’Annunzio, che di Parigi dove indirizzò il cugino Soffici allorchè quest’ultimo vi si recò per il rodaggio artistico-letterario.


Diceva di sè, il Cecconi, di fare l’agricoltore per vivere, un pò d’arte per non morire, coltivando vigne e paradossi, odorosi fieni e variopinte illusioni. Da buon pratese studiò al collegio Cicognini, che lo vide allievo attento e partecipe, buon cultore di greco e di latino. Studiò con entusiasmo anche quando, dopo varie vicende familiari, dovette troncare gli studi intrapresi alla facoltà di lettere dell’Università di Firenze. La sua predilezione per le lingue classiche, unita alla conoscenza del francese e dell’inglese, la si ritrova anche in certe citazioni frequenti, che allargano un orizzonte che forse a certuni poteva sembrare angusto, ma non lo era. Conobbe anche Giovanni Pascoli e fu in stretta corrispondenza con Emile Zola, col quale trattava fatti ed avvenimenti dell’epoca oltre che d’arte e letteratura. Per il teatro scrisse un dramma, "Sulla via di Damasco", che non ci risulta mandato a stampa. L’attività maggiore la dette alla narrativa con il romanzo "La fidanzata del vento" (Vallecchi , Firenze, 1934) ed alcuni volumi di racconti: "Il primo bacio ed altre novelle bizzarre" (Treves, Milano, 1916), "La principessa ermetica ed altre novelle" (Bemporad, poi Gonnelli, Firenze, 1911), "Racconti per convalescenti" (Treves, Milano, 1916) e "Elogio della perfetta ignoranza" (Vallecchi, Firenze, 1927). Il Cecconi ha raccolto anche "Il taccuino perduto" (Treves, Milano, 1915), una serie di pensieri e riflessioni sulla vita del tempo.E non dimentichiamo (Farmacia dell'anima)mai pubblicato.






OCCASIONI PIRANDELLIANE


CRISTINA GRAGNANI, Pirandello lettore di Cecconi e di Manzoni


Attraverso il riscontro con alcuni frammenti di una novella di Moisè Cecconi,"La smigliacciata", che trovano posto nel "Taccuino di Harvard", Cristina Gragnani dimostra, soprattutto basandosi sulle varianti della novella "Un invito a tavola", come Pirandello abbia risentito in certe scelte linguistiche delle espressioni vive e colloquiali dello scrittore toscano. Ancora nel "Taccuino di Harvard", in posizione contigua a quella delle trascrizioni da Cecconi, sono registrate alcune espressioni manzoniane, che l'autore siciliano, pur inserendo nel proprio, personalissimo stile, usa in novelle e romanzi. Nonostante le posizioni ascoliane, infatti, Pirandello è attratto dalla lingua 'risciacquata' in Arno di Manzoni e dalle espressioni di Cecconi, scrittore autenticamente toscano.